Le origini di Nepi si perdono nella preistoria. Sembra che i primi insediamenti si costituirono sul masso tufaceo triangolare che forma una penisola e sul relativo acrocoro prospiciente, denominato il Pizzo, verso l’VIII sec. a.C.. La leggenda, affrescata brillantemente nella Sala Nobile del Comune, la vuole fondata dal mitico Termo Larte. È indubbiamente accertato che nel vasto territorio si trovano reperti archeologici falisci ed etruschi. La prima notizia documentata ci è data dallo storico Tito Livio, il quale afferma che nel 383 Nepi risulta alleata dei Romani. Nepi infatti è considerata a Sutri CLAUSTRA ETRURIAE e ANTEMURALIS ETRURIAE ed è riconosciuta come Municipium, con leggi proprie e particolari privilegi. Di questo periodo rimangono testimonianze archeologiche di resti di ville patrizie, alle Terme dei Gracchi, di un anfiteatro, mausolei lungo la via Amerina, cippi, statue e molteplici lapidi. Durante la seconda guerra punica, sotto G. Fabio Q. Fulvio, Nepi, unita ad altre undici colonie latine, si rifiuta di fornire truppe ausiliarie, cavalieri e tributi, ma, come narra Tito Livio, dovette pagare in doppia misura il suo atto ribelle. Nel IV secolo è già sede vescovile ed il suo Vescovo partecipa sottoscrivendo ai vari Concilii Romani. Durante le invasioni barbariche fu più volte saccheggiata. Trovò però sempre una valida difesa in S. Gregorio Magno, che più volte mandò i suoi soldati guidati dal Duca Leonzio. Nell’anno 741 Liutprando la restituì definitivamente al Papa Zaccaria. Quando Astolfo, re dei Longobardi, invase il Ducato di Roma, nel 755, anche Nepi subì saccheggi e distruzioni. Un fatto singolare accadde nel 767 allorché Totone, duca di Nepi, approfittando dei contrasti sorti tra la Gerarchia Ecclesiastica e l’Aristocrazia Laica, con scaltrezza ed audacia incredibili, riuscì a fare eleggere Pontefice il fratello Costantino. Impresa però, che durò appena un anno, perché Primicerio Cristoforo, sostenuto dai Longobardi, cacciò da Roma la fazione dei nobili nepesini; Totone cadde ucciso in battaglia e Costantino, accecato, fu rinchiuso in un monastero. Non fu risparmiata dalle scorribande dei Saraceni nel 915, finché questi non furono sconfitti e cacciati, durante la lotta nella Valle di Baccano. Nel 1131 si costituisce come libero Comune, come risulta dalla storica lapide inglobata nel portico del Duomo, che qui si riporta in traduzione: “Anno del Signore 1131, al tempo di Anacleto II papa, nel mese di luglio, indizione VIII, i Cavalieri e i Consoli di Nepi stabiliscono con un giuramento che se qualcuno di loro vuole infrangere la nostra società sia cacciato con i suoi seguaci da ogni onore e dignità e inoltre con Giuda e Caifa e Pilato spartisca il suo destino (dopo morto); e ancora, sopporti una morte infame come Galeone che tradì i suoi compagni e di lui non si ha più memoria, ma sieda alla rovescia su di un’asina e tenga la coda in mano”.
Nel 1169 la troviamo in lotta con la città di Ferento. Dal sec. XII, tra luci e ombre, giuramenti e intrighi di palazzo, patti di fedeltà e tradimenti, speranze e vendita della stessa città, è tutto un susseguirsi di lotte e prepotenze tra le famiglie aristocratiche donimanti: i Prefetti di Vico, gli Anguillara, gli Orsini, i Colonna che spesso coinvolgono la stessa Sede apostolica. Travagliato fu per Nepi il periodo della cattività Avignonese (1309-1375) quando, con la lontananza dei Papi, si accesero più potenti rivalità tra i Colonna e gli Orsini, così che il territorio nepesino fu più volte devastato. Con l’elezione a pontefice del Cardinale Rodrigo Borgia, oculato ed apprezzato amministratore di Nepi, la Città ebbe un periodo fecondo di laboriosità e di pace specialmente quando Alessandro VI concesse il Ducato di Nepi all’avvenente e munifica Lucrezia Borgia, ricordata con stima e gratitudine. Su di una porta d’ingresso della fortezza è inciso: “UNICUS CUSTOS PROCULHINC TIMORES” a ricordo, purtroppo, dei 13 anni di gestione di Bernardo Accoliti, detto l’Aretino, che i Nepesini cacciarono per i soprusi e le continue angherie. Siamo negli anni 1524-1534. Il vero periodo aureo, che ha lasciato in Nepi un’impronta viaria e architettonica, ancora oggi tangibile si è avuto con l’investitura del ducato Nepesino a Pier Luigi Farnese.
È il tempo in cui si aprono nuove vie, si costruiscono palazzi gentilizi e nuove chiese; sono chiamati i migliori architetti e maestri di alta esperienza e prima scelta. Purtroppo questa ondata di operosità e di benessere fu di breve durata, perché il Duca Pier Luigi, nell’agosto del 1545, optò per il ducato di Parma, sua terra nativa, e Nepi non ha più avuto un mecenate che l’uguagliasse. L’epoca farnesiana può essere così riassunta:
a) completamento della sistemazione Rocca, dopo i lavori eseguiti dai Borgia sotto la guida di Antonio da Sangallo il Vecchio;
b) cosruzione della robusta linea muraria dal rio Puzzolo al rio Falisco, su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane;
c) sistemazione urbanistica del Centro con allargamento della via ora denominata G. Matteotti (già via del Foro); allargamento della piazza di S. Eleuterio e inizio della costruzione del Palazzo Comunale; apertura della via denominata attualmente G. Garibaldi (già via Dritta), tutto su disegno del Sangallo il Giovane, contestualmente alla costruzione della linea muraria, i Farnese ordinarono la demolizione di tutti gli edifici esistenti al di fuori della stessa linea, sia civili che religiosi; tra questi vi furono le chiese della Madonna dell’Immagine e di San Sebastiano e quella di San Tolomeo alle sante Grotte, ricostruita poi nei secoli successivi, Nel 1549 passa sotto il dominio diretto della Santa Sede econ Sisto IV è dichiarata indipendente e può innalzare le insegne senatoriali; S.P.Q.N.. Fatale fu per Nepi il 2 dicembre 1798, quando le truppe francesi erano in ritirata, incalzate dalle truppe borboniche. Incautamente furono sparati, dall’alto del campanile, alcuni colpi di archibugio. Per rappresaglia, i Francesi misero a ferro e fuoco l’intera cittadina. Oltre alle centinaia di morti, andarono irreparabilmente bruciati il Duomo e l’Archivio Vescovile. Lenta e faticosa è stata la ricostruzione, ma i danni del tragico episodio soni tutt’oggi evidenti. Nel 1805 accolse Pio VII. Nel Palazzo Pisani è inglobata la lapide: PIIUM VII PONT. MAX. - PARISIIS DEDUCEM MODICO DOMUS HAECINGENUO TAMEN. EXCEPIT HOSPITIO MENSE MAJO AN. R.S. MDCCCV “Questa casa accolse con ospitalità semplice, ma decorosa Pio VII Pontefice massimo di ritorno da Parigi. Nel mese di maggio Anno della Redenzione 1805”.
Il 13 settembre 1870 fu occupata dalle truppe italiane e annessa al Regno d’Italia.